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Kurzweil SP7 Grand by MeX

Il primo ascolto con gli occhi chiusi, immerso nella tranquillità della camera d’albergo, ha reso questo stage piano lo strumento giusto per accompagnare quell’atmosfera dal respiro autunnale, tendente oramai all’inverno.

Le sezioni dimostrative iniziali, tolta la goliardica (ma funzionale) parte che avrebbe figurato bene quale colonna sonora di una puntata dei Jefferson, oppure degli inossidabili Robinson (l’ultima prima del commento), manifestano senza grandi giri di parole le qualità dell’ultima nata della serie SP, affermano la forza del piano digitale, quanto questo sia vicino allo strumento fisico.

Curiosa coincidenza vuole che i temi offerti dal Nostro abbiano incontrato l’incessante battito del tempo creato da una pioggia vigorosa che all’esterno si sta liberando, così quel piano tanto armonioso ha acquisito ulteriore profondità, permettendomi di coglierne i contorni con maggiore efficacia. Sotto una scocca di effetto scenico non indifferente, tecnologicamente avanzata, dal display tattile, Kurzweil ha sviluppato un lodevole compagno di musica, capace di assecondare anche i voli creativi più arditi.

Personale impressione è che Enzo abbia strizzato l’occhio a questo lato del mezzo musicale, trovandocisi in accordo ed apprezzandolo, un pezzo ben fatto, prodotto maturo di un lavoro di elaborazione che unisce il risultato raggiunto negl’anni ad una innovazione che si rinviene nei dettagli; così, la trama sonora che sta alla base ha acquistato una struttura migliore, più moderna e diretta, benché a tratti semplificata. Estendendo il test alla gamma ulteriore prevista nello stage piano, tutto riporta ad una qualità mediamente alta, la dotazione è – coerentemente con quanto già scritto – tendente ad una misura: c’è tanto ma non troppo, e quel che è presente non delude.

Sarà che l’accenno della parte solistica di Highway star ha fatto breccia e stante che i Deep Purple costituiscono sempre il canale privilegiato per dialogare con il mio senso dell’udito, però la sezione organi segue bene l’andamento e conferma le impressioni generali. L’SP7 Grand mette a proprio agio, vanta una buona dotazione di ingressi ed uscite, potendo inserirsi con il microfono, l’interfaccia è convincente, salvo forse per l’impossibilità di accedere all’editing – sicuramente scarno – in maniera diretta, e quelle levette dal sapore vintage ricordano l’idea di unione delle tecnologie tra ieri ed oggi.

Io li apprezzo poiché mi tornano alla mente gli switch delle “superstrat”, ma forse esteticamente non rappresentano un trionfo. Alla fine, contrariamente con la pizza prospettata, abbiamo concluso la giornata in un conviviale momento di rifocillamento a base di carne.